Il Subbuteo dalla A alla Zëugo – F
Sgombriamo subito il campo da incomprensioni. Non è un errore di battitura.
Non voglio parlare del “fuorigioco” ma vorrei provare a ragionare su chi è “Fuori dal Gioco”. Su chi, da fuori, ci vede a volte per la prima volta, a volte conoscendo il gioco che facevano da piccoli sul tappeto della cameretta.
Cosa vedono? Cosa riusciamo a trasmettere?
Durante un qualsiasi evento aperto al pubblico, ci troviamo sempre davanti ad alcuni problemi. Primo su tutti, chi si avvicina per chiedere!
Da sempre saper fare qualcosa non è, in automatico, equivalente al saperlo spiegare. Poi c’è, in alcuni casi, la trans agonistica e il totale disinteresse a crescere come gruppo, come associazione.
Allora a chi è fuori, cosa facciamo percepire? Cosa si vede? Chi è fuori dal gioco, passa, vede qualcosa di strano e si ferma. Magari con la moglie che vuol fare due passi o con il marito che segue esclusivamente il motociclismo o con i bambini che scalpitano per avere il gelato o il tablet del papà per giocare a Minecraft. E noi lì, chini sul campo a colpire le nostre miniature. In palio il passaggio del turno. Alziamo la testa e vediamo solo il cronometro col tempo che scorre. Non badiamo a null’altro. Però intorno a noi ci sono persone. Ci sono ragazzini. Ci sono i nostalgici o chi dà una gomitata di fianco a se affermando “io sono capace!”.
Poi ci sono quelli che non hanno la più pallida idea di cosa stiano guardando! E noi imperterriti continuiamo a giocare, magari facendo segno al ragazzino di stare lontano dal campo perché ci da fastidio. E così, quante opportunità abbiamo perso fino ad oggi? Quale è l’impressione che diamo a chi sta fuori e si avvicina curiosando? È mai capitato di farsi queste domande?
Quando organizziamo un torneo in un oratorio, in una scuola o in un centro commerciale, di cosa ci preoccupiamo prima di tutto? Risposta facile. Il nostro primo pensiero è il numero di iscritti. Poi quanti campi servono e se abbiamo comprato le coppe riuscendo a risparmiare qualcosina.
Ecco a volte dovremmo staccarci dalla figura di giocatori che organizzano per i giocatori e provare ad essere organizzatori di eventi, ed anche, perché no, dirigenti. Dovremmo pensare che avere otto campi è bellissimo ma averli tutti uguali è meglio. E se li mettiamo nel modo giusto è anche figo.
Dovremmo pensare che le coppe belle fanno scena ma avere un roll-up con il nome del nostro club fa serietà.
Che avere il computer per segnare i risultati e fare gli accoppiamenti è necessario, ma anche avere dei volantini o delle brochure con spiegato chi siamo, dove ci troviamo, cosa facciamo e qualche foto, lo è ancora di più.
Che giocare in un centro commerciale con la nostra tenuta sportiva di club, non è ridicolo ma ci distingue.
Che perdere un paio d’ore per spiegare che cos’è il Calcio da Tavolo, porta a guadagnare visibilità e magari anche futuri associati e, perché no, futuri campioni!
Non servono investimenti economici elevati. Serve soprattutto voler investire tempo ed energie per poter diventare una realtà solida, consolidata, ed anche un punto di riferimento cittadino. Potremmo diventare un piacere per chi ci guarda e soprattutto riuscire a trasmettere a chi è “Fuori dal Gioco”, la passione che unisce migliaia di persone, in Italia e al di fuori.
Serve però cambiare mentalità. Serve uscire dalla “cameretta” e cominciare a vederci non solo come nostalgici ma come precursori. Precursori di qualcosa che potrebbe essere qualcosa di più che un semplice passatempo. Per fare questo c’è bisogno di una visione più ampia, bisogna diventare lungimiranti. Bisogna confrontarsi con chi ha già fatto ed ottenuto dei risultati. Bisogna accendere una luce. Bisogna pensare che, dopo di noi, ci dovrà essere ancora qualcuno a portare avanti questa passione!
Forza… uscite!