Da quando la mia distonia è diventata così forte da impedirmi di giocare a calcio, ho trovato nel subbuteo un validissimo sostituto.
La mia non è solo passione per il gioco, è qualcosa di più, è una vera rivincita sulla vita.
Quando ti capita addosso una malattia degenerativa che, giorno per giorno, ti toglie la possibilità di fare le cose, la difesa psicologica che di solito si mette in atto è lo smettere di desiderare quello che non si può più fare.
Ma quando la mia capacità di camminare, persino di stare semplicemente in piedi, è venuta progressivamente meno, dapprima mi misi a fare il portiere e poi iniziai a sedermi a bordo campo per guardare le partite.
Ma col subbuteo no, anzi, lavorando un poco con la fantasia, si era in grado di scendere in campo a San Siro per giocare Milan Juve, e far giocare Boninsegna, Cabrini, far parate con Zoff ed Albertosi, anzi, essere Zoff, sentire il boato della folla, ed esultare per una vittoria come se fosse del tutto vera.
E così il subbuteo divenne una parte importante nella mia vita, consentendomi di mantenere inalterata la mia passione per quel calcio che non potevo più giocare.
Diventò quasi una mania, collezionavo squadre e persino comperai le tribune per il mio campo, che somigliava sempre più ad uno stadio vero.
Arrivai a registrare i cori allo stadio quando giocava il Piacenza, e a far girare la cassetta durante le partite di subbuteo che facevo con mio fratello Cecco o con gli amici, che evidentemente gradivano quella appassionata veridicità.
Uno degli amici che venivano a giocare era Pietro Caliceti, divenuto poi un romanziere di successo, il quale, evidentemente riconoscente per i bei momenti che passava giocando a casa mia, ha citato il mio subbuteo e le tribune in un suo romanzo.
Capitò che un giorno su La Libertà, che è il giornale locale di Piacenza, si lesse che era in programma un Torneo di Subbuteo. Così, con tutti coloro che ruotavano attorno al mio campo, si decise di iscriverci per provare a confrontarci con quelli che, si diceva sul giornale, fossero dei veri campioni.
Siccome li suonammo di santa ragione, decidemmo anche noi di aprire un club, che fu foriero di grandi soddisfazioni, pur a livello locale, culminate col la mia vittoria ai campionati provinciali del 1987.
Poi la mia distonia divenne talmente severa da impedirmi anche il gioco del Subbuteo. Furono anni veramente bui, nei quali tutto venne riposto in un armadio ed in qualche modo dimenticato. Sapevo che il subbuteo era lì, ma non desideravo aprire l’anta di quell’armadio.
Per parecchi anni continuai a frequentare lo stadio fin poi a decidere che era meglio stare a casa.
Il campionato non si giocava più solamente alla domenica, le partite erano un po’ anticipi ed un po’ posticipi, secondo un calendario che era troppo difficile da seguire. Mi ritrovai più di una volta ad andare allo stadio per scoprire che la partita sarebbe stata il giorno dopo, o peggio ancora, che ci fosse già stata. Mi sembrava di essere cretino, lì con il mio abbonamento inutilizzato, semplicemente perché il calcio non era più quello di una volta.
Così il gioco del pallone uscì dalla mia vita.
Poi un bel giorno, un medico alle prime armi, riconobbe il mio malanno, che fino ad allora era rimasto ignoto, e mi aprì l’orizzonte verso una possibile cura.
Avevo ormai più di 40 anni, e quando accettai di sottopormi a quello che è ancora oggi un protocollo medico sperimentale che poteva lenire il mio disagio, non pensavo certo al subbuteo.
In ogni caso mi sottoposi ad un intervento chirurgico che mi ha infilato un paio di elettrodi nel cervello, li ha collegati ad altrettanti mini computer che ho nel petto, ed utilizzando un flusso elettrico controllato a distanza, un po’ per volta mi ha rimesso in piedi.
Il nuovo Stefano Bionico ha così riscoperto un sacco di quelle piccole cose che non poteva più fare, e la magia di gesti scontati per chiunque, ma che è bellissimo poter fare per chi sa quanto è dura doversene privare.
Non ho ripreso il 100% delle mie capacità motorie, ma quanto basta per poter fare ogni tanto una passeggiata, per poter tornare ad usare entrambe le mani per scrivere al computer, per bere un caffè prendendo la tazzina per il manico e portandola alla bocca, insomma per sentirmi vivo nuovamente e pieno di entusiasmo.
Inevitabile fu, dopo un po’ di tempo, la riapertura dell’armadio nel quale il subbuteo era rimasto sepolto per quasi vent’anni.
Il tocco era da migliorare, non riuscivo ad usare la mano destra per giocare, ma poco contava, visto che ero stato costretto a diventar mancino. Riuscivo a giocare e mi pareva anche di farlo bene.
Decisi che mi sarei preparato a tal punto da permettermi di fare bella figura giocando contro il campione del mondo, e così coinvolsi i miei figli e mio nipote, in quella che sarebbe stata la mia nuova vita da subbuteista. In fondo ero ancora il campione provinciale di subbuteo in carica, visto che dall’87 il titolo non era più stato assegnato, e potevo, anzi dovevo, ritornare bravo come un tempo.
Il resto è storia recente: il titolo di campione provinciale è stato rimesso in palio ed è stato vinto da mio nipote, attorno a me ho raccolto un gruppo di appassionati, ed il Piacenza Calcio mi ha chiamato a fondare un club subbuteistico sotto la sua egida.
Ho anche giocato contro un campione del mondo, ma è una storia che vi racconterò la prossima volta.