Bentornati alle interviste impossibili. Oggi abbiamo il piacere di incontrare un giocatore di hockey slovacco che è rimasto nei cuori dei suoi tifosi. Diamo il benvenuto a Pavol Demitra!
D. Buongiorno sig. Demitra! Sono molto contento di averla qui con noi, anche se solo per qualche minuto. Ci racconti qualcosa di lei.
R. ‘Giorno… Grazie dell’invito… Che devo dire?
D. Beh, possiamo cominciare da qualche dato anagrafico…
R. Sono nato il 29 novembre del 1974. Non so… che altro volete sapere? E comunque diamoci del tu…
D. Ok! Molto bene! Certo che, visto lo sport che pratichi, nessuno direbbe che sei timido… poco male… faccio io e tu mi dici se sbaglio qualcosa. Ok?
R. Ok. Vai pure…
D. Bene, quando sei nato ce l’hai detto. Sei slovacco, giocavi ala destra, tiravi di sinistro. Dopo gli inizi nella Extraliga cecoslovacca, sei passato all’American Hockey League, poi dopo il blocco della NHL chiesto dall’associazione dei giocatori, sei tornato in patria nel campionato slovacco. Ripartito il campionato americano, passi ai Los Angeles Kings e l’anno successivo ai Minnesota Wild, dove per due stagioni hai fatto veramente tanti punti così come a Vancouver i due anni dopo. Infine il trasferimento in Russia in KHL con la Lokomotiv Jaroslavl’ e qui tutto si ferma… Tutto giusto?
R. Si. Tutto giusto. Tutto si è fermato a causa dell’incidente aereo che coinvolse me, tutta la squadra e lo staff tecnico della Lokomotiv. Un grave incidente ancora non chiarito del tutto. Si è detto e scritto di tutto. Carburante non idoneo, un motore spento, il freno di stazionamento tirato. Mancava solo che venisse data la colpa al governo! È stato spiacevole che alla fine, probabilmente non sapendo più che pesci prendere, abbiano dato la colpa ai due piloti. Tornando agli aspetti sportivi, posso aggiungere a quello che hai detto, che gli inizi, come spesso accade, sono stati abbastanza complicati. Sicuramente passare dal campionato Cecoslovacco a quello americano è stato un bel salto. Ci sono state diverse difficolta da affrontare. Appena arrivato al San Louis Blues, l’allenatore mi fece giocare appena 8 partite.
D. Possiamo dire che ti sei rifatto con gli interessi negli anni successivi?
R. Credo di si. Riuscii a fare 52 punti in 61 partite e nella stagione 1998-1999 di punti ne feci 89 e mi guadagnai la prima convocazione nell’All Star di quell’anno.
D. Accidenti segnare 89 reti è veramente un gran risultato! Un bottino niente male e fu solo l’inizio vero?
R. Vedo che non conoscete molto bene l’hockey… va chiarito che nel nostro sport, non si contano solo i goal. Quelli sono necessari ad una squadra per vincere la partita, ma esiste anche un sistema di assegnazione del punteggio al singolo giocatore, che prevede, in aggiunta, il conteggio degli assist fatti per agevolare la marcatura di una rete. Questo sistema permette di dare un punteggio di forza al giocatore. Fare goal è una caratteristica degli attaccanti, diciamo che a me piaceva sia fare goal che far fare goal ai miei compagni. Grazie a questo criterio nelle ultime stagioni riuscii a fare 68 punti in 71 presenze, poi 54 in 68 e nelle due stagioni a Vancouver 69 punti in 97 presenze complessive e, da slovacco, è stata una bella soddisfazione fare certi numeri nella patria del hockey.
D. Decisamente sì! Sei stato anche un buon giocatore di Subbuteo. Dicci qualcosa su questa passione.
R. Avevo iniziato a giocare non ancora ventenne, nel 1993 a casa mia, poi sono iniziati i trasferimenti e tutto si è fermato. Ho ricominciato nel 2004 quando sono rientrato all’ovile e poi in Minnesota con il mio connazionale Marián Gáborik. Erano sfide infinite fino a tarda notte e per non farci rimproverare avevamo coinvolto il vice allenatore che poi era costretto a giustificare i ritardi agli allenamenti. Ritardi a parte, venivano fuori dei triangolari incredibili. Credo che quelle partite, quel continuo giocare al volo, abbiano contribuito alla vittoria del premio Lady Bing Memorial Trophy della NHL, che veniva dato “al giocatore che ha esibito maggiormente la propria sportività e buona condotta combinate con un alto livello di abilità”. Sono sicuro che l’abilità che avevo nel Subbuteo abbia contribuito. Agilità, colpo d’occhio, prontezza di riflessi, tutte doti che servono in entrambe le discipline.
D. A quale giocatore di subbuteo ti paragoneresti?
R. Agilità, riflessi, determinazione, correttezza… direi il greco Nikos Beis, anche se io non ho mai avuto la barba!
D. Beh possiamo dire che quel premio viene dato principalmente proprio per la sportività dimostrata. Questa è una dote importante nel Subbuteo ma soprattutto lo è in uno sport di contatto come l’hockey.
R. Ho sempre visto lo sport, soprattutto quando giocato ad alti livelli, come un qualcosa di alto valore. Bisogna sempre ricordarsi che siamo un esempio per chi ci guarda e quindi dobbiamo comportarci di conseguenza.
D. Sono d’accordo. Tu l’hai dimostrato talmente bene che ti hanno addirittura dedicato l’asteroide 240022 chiamandolo col tuo nome.
R. È stata una bella soddisfazione anche quella. Diciamo che ne ho avuta qualcuna. Come aver vinto il titolo di capocannoniere ai XXI Giochi Olimpici Invernali!
D. Ecco magari per quello che riguarda le olimpiadi non approfondiamo troppo sennò poi dicono che parlo sempre delle stesse cose.
R. A me sembra invece un gran bel argomento! Le olimpiadi… il sogno della maggior parte degli atleti. Rappresentare la propria nazione sotto la bandiera coi cinque cerchi. Dopo tutto ci sono “sport” decisamente meno olimpici del Subbuteo che sono in orbita Coni. Voi perché no?
D. Bene… ringraziamo Pavol Demitra per essere stato con noi…
R. Ok ho capito… non è la sede giusta per fare certi discorsi… Voi però, ogni tanto, ve la fate lo stesso questa domanda? O no?
Grazie mille ai nostri lettori e a Pavol Demitra. Un uomo che ci ha lasciato troppo presto. Sicuramente un esempio per molti giocatori di hockey e, grazie alla sua correttezza in campo, un esempio anche per tutti gli amanti dello sport in generale.
Alla prossima intervista…