Capitolo 4
Alessandro si era rivelato un vero e proprio vulcano di idee ed era davvero instancabile nel proporre progetti o strategie per la crescita ed il miglioramento del club. Senza dubbio era iperattivo.
Antonio era piacevolmente trascinato dall’idea stessa di portare avanti quello che era il progetto iniziale suo e di Francesco. Quest’ultimo cercava di tenere tutti con i piedi per terra, mentre a Gabriele praticamente interessava solo giocare.
In meno di un mese avevano messo le basi per partire. La sede c’era. Due campi erano pronti all’uso. I 4 amici si erano autotassati per iniziare a coprire le prime spese. Ovviamente non erano tutte rose e fiori, anzi. Per decidere i colori sociali e le maglie da prendere, ad esempio, ci furono fior di discussioni fra i quattro.
Il più intransigente fra loro, Gabriele, si era impuntato per utilizzare il rosso e il blu visto che poteva trovare delle polo con quei colori ad un ottimo prezzo. Sul nome invece ci furono difficoltà legate alla volontà di essere riconoscibili senza essere accostati alla squadra di calcio o ad altri contesti lontani dal Subbuteo.
Francesco si ricordò di un libro di Marco Marsullo, letto poco tempo prima, intitolato Atletico Minaccia Football Club. Allora propose l’Atletico Sciolina anche in onore del liquido utilizzato per lucidare le basi degli omini.
Forse più per stemperare la tensione che per reale convinzione, furono tutti d’accordo. Il club iniziava a prendere forma. La sede, i campi, i colori sociali, il nome. Un buon inizio. Ora, consapevoli degli obblighi formali imposti dalla Federazione, servivano lo statuto, la registrazione per l’ufficio delle entrate e l’iscrizione ai campionati.
Nel giro di un paio di settimane, l’Atletico Sciolina era ufficialmente nato e pronto a farsi valere sui campi di tutta Italia.
La prima trasferta fu a Torino. I quattro, appena arrivati, si guardarono intorno a metà tra il felice stupore e il mal di pancia tipico di una competizione. La maggior parte dei presenti sembravano decisamente fuori forma e con un’età sopra la media.
Nella prima partita si trovarono a giocare contro una squadra di Arezzo. Quattro simpaticoni che sembravano usciti direttamente da un dopo lavoro dopo un giro di scopone scientifico. I quattro mantovani si guardarono scambiandosi un sorrisetto di convinta superiorità e gli accoppiamenti furono più per simpatia che per caratteristiche.
Alla fine del primo tempo i goal incassati erano cinque sia per Francesco che per Antonio e tre per Alessandro. Gabriele teneva il pareggio con non poche difficoltà. A fine partita l’avversario di Alessandro aveva chiuso il set, mentre Antonio era andato, in negativo, in doppia cifra. Francesco, complice la sostituzione del suo avversario con uno più simpatico ma meno capace, si era fermato a sette goal incassati, mentre Gabriele era riuscito a limitare i danni chiudendo 0 a 2.
Per i quattro un esordio decisamente da dimenticare. Ma era solo l’inizio.
A fine torneo, nel viaggio di ritorno, il conteggio dei goal incassati fu difficoltoso e assunse proporzioni al limite dell’imbarazzante. Di conseguenza l’umore e la tensione all’interno della vettura diventarono rispettivamente nero e pesante. Ognuno, a modo proprio, cercò una spiegazione ed una possibile soluzione. Tutto rimandato al giovedì successivo.
In quella circostanza i quattro, comunque un po’ più sereni, si preoccuparono soprattutto di giocare ma lo fecero con un atteggiamento diverso rispetto alle serate spensierate delle settimane precedenti. C’era una specie di tensione sui due campi. Qualche risata in meno rispetto ad altri momenti. A fine serata, mentre uscivano, gli si parò davanti Don Ulrico col solito sguardo accigliato e, quasi minacciosamente, avvisò i quattro che sabato pomeriggio avrebbe portato da loro tre giovanotti che volevano imparare a giocare.
Pur presi in contropiede, risposero praticamente in coro che non c’era problema. In realtà il problema c’era eccome visto che, fino a quel momento, l’argomento non era stato minimamente sfiorato. Ora, forzatamente, dovevano trovare una soluzione. Gabriele risolse subito il problema “Non contate su di me. Ve l’avevo già detto. Io non ho pazienza. E poi al sabato lavoro.” “Questo sabato lavoro anch’io” aggiunse Antonio. Alessandro si girò verso Francesco. “Francè, ce ne occupiamo noi!”.
Francesco, come spesso accadeva in certe situazioni, perse temporaneamente la parola. Antonio li incalzò subito: “Grandissimi! Secondo me farete un bel lavoro!”. Perfetto, pensò Francesco, mi sono fatto fregare anche stavolta.
Quando sabato pomeriggio si trovarono per iniziare questa nuova avventura, si aspettavano i tre giovanotti preannunciati da Don Ulrico. Quindi la sorpresa nel vedere i tre giovani, circondati da un gruppetto di bambini tra i dieci e i dodici anni, fu molta. Così come la preoccupazione del come gestire questo numero imprevisto di futuri giocatori e di come riuscire a coinvolgere i bambini nel modo giusto.
Francesco ci mise tutta la sua buona volontà, Alessandro tutto il suo entusiasmo. Entrambi si resero conto praticamente subito di quanto fosse difficile questa nuova ed imprevista avventura. I tre giovanotti dovevano essere quelli più facili da gestire. In realtà sembravano più interessati a simulare uno dei tanti derby calcistici, condito ovviamente anche dai falli, tirando schicchere contro gli omini e facendoli partire per mondi sconosciuti.
I bambini invece, pur con una soglia d’attenzione sempre in bilico, erano comunque incuriositi da questo nuovo gioco e cercavano di recepire sempre più informazioni. A fine giornata Alessandro e Francesco si ritrovarono a fare i conti. Il resoconto risultava impietoso e fortemente negativo: due omini rotti, due al limite della rottura, uno scomparso, uno dei due campi con una bella patacca di thè vicino alla bandierina del calcio d’angolo, tre dei bambini decisamente non interessati, due dei tre giovanotti preoccupati più a mandarsi a quel paese che di imparare a giocare.
Praticamente una Caporetto.
Per fortuna e per cercare sempre di vedere il bicchiere mezzo pieno, i due si ritrovarono con il papà di uno dei bambini, ex giocatore da cameretta, che garantiva la propria presenza per il giovedì seguente e l’iscrizione del proprio figlio nel caso di un corso di Subbuteo. A tutto questo si aggiunse il terzo giovanotto, interessato ad approfondire il gioco e dotato di una buona predisposizione.
Diciamo che il bilancio era abbastanza negativo ma lasciava comunque qualche spiraglio di speranza. Naturalmente Alessandro, come da prassi, vedeva già corsi di primo e secondo livello, campionati giovanili e la necessità di cercare una sede più ampia.
Come sempre toccò a Francesco tenerlo coi piedi ben piantati per terra. Ovviamente non fu semplice e si rese necessario aggiornarsi al giovedì successivo quando tutti e quattro i soci del club, sarebbero stati presenti.
Francesco impiegò tutta la domenica per ideare una specie di corso per i bambini e quattro giorni dopo, prima di iniziare a giocare, cercò di spiegarlo agli altri. Compito decisamente complicato visto che Gabriele non intendeva far parte di quel progetto ma voleva esclusivamente giocare.
Alessandro aveva aspettative decisamente alte e sembrava non percepire le difficoltà che il suo progetto prevedeva. L’unico a riuscire a capire realmente che bisognava fare un passo alla volta era Antonio che però sembrava non voler prendere una posizione definitiva.
La riunione si interruppe all’arrivo del papà che sabato aveva promesso la sua presenza. Dino si presentò e venne subito messo sul campo per togliere la ruggine ed essere aggiornato sulle nuove regole. Il compito toccò a Gabriele. Mentre Antonio, Francesco ed Alessandro cercavano di trovare una soluzione per i sabato a venire ed un modo per dare continuità ad un progetto totalmente in costruzione.
Intanto, dal campo dove giocavano Dino e Gabriele, arrivava, attraverso frasi incisive e sopra le righe, la conferma che Gabriele aveva poca dimestichezza e voglia di insegnare al nuovo arrivato. A fine serata Dino, prendendo in disparte Francesco, fu decisamente categorico. “Con quello preferirei non giocare più e se lo fate avvicinare a mio figlio, puoi cancellarlo dal corso!”.
Non c’è che dire… come inizio niente male.