Questo era il nome del primo torneo fatto dopo dieci anni di pausa del Subbuteo Club Stradivari di Cremona, il mio club!
Stradivari Return. Località Castelvetro Piacentino. Pochi partecipanti. Soprattutto il gruppo storico. Tra una birretta, una risata e una sigaretta, riusciamo anche a giocare. L’agonismo c’è, ovviamente, ma soprattutto c’è l’amicizia. Quella che ci lega da anni e che ha fatto sì che ci fosse condivisione, complicità, sofferenza e festeggiamenti.
Si arriva in fondo. Mi fanno male gli zigomi dal ridere, ma c’è la finale da giocare. La vinco. Foto ricordo e articoletto sul giornale. Che meraviglia. È lì che tutto riparte. Ci pensiamo, ci ragioniamo e decidiamo. Il club riapre!
Siamo pochi, praticamente quelli di sempre, peschiamo anche un napoletano trapiantato nel piacentino, un chitarrista che abita nel parmense ed un genovese a cui consegniamo immediatamente le chiavi della cassa di club. Facciamo gruppo. Iniziamo ad organizzarci. Ci auto tassiamo, prendiamo le magliette, troviamo anche qualche pazzo scatenato che decide di sponsorizzarci.
Ci iscriviamo alla FISCT ed ai campionati, iniziamo a trovarci tutte le settimane per riprendere confidenza con le nuove basi perché qualche cosetta nel frattempo è cambiata. E partiamo.
Iniziano alcuni anni decisamente divertenti con risultati buoni ma non esaltanti. Qualche sano litigio, qualche litigio meno sano, ma ormai il percorso è avviato. Siamo una macchina imperfetta che comunque cammina.
Si va in trasferta, si gioca, si mangia, ci si diverte. Un anno, grazie ad un romano patito di statistiche, scopriamo anche di essere tra i club che hanno disputato più tornei in quella stagione. Una piccola soddisfazione arricchita da qualche vittoria importante (il consolazione all’internazionale di Milano o la salvezza in serie C, grazie allo spareggio con Chieti) e da diverse amicizie sparse per lo stivale, isole comprese, e all’estero.
Return, ritorno. Ritorno sui campi di gioco, ma anche ritornare a casa dopo un torneo e provare a raccontare a chi non c’era, le emozioni provate. Per spiegare, per condividere, per far capire cosa ti spinge, dopo una settimana di lavoro, a lasciare a casa moglie, figli, famiglia, spendere soldi, fare chilometri, per stare con altri 4/5 scalmanati rinchiusi in una palestra intrisa di “puzza di umanità” a colpire degli omini di plastica grazie all’unghia sapientemente curata.
Non è semplice, ti prendono per matto, per eterno Peter Pan. Ma tu, imperterrito, continui. Passa il tempo ci sono anche i social ora e provi ad usarli per avere visibilità, non per te ovviamente ma per la tua passione, per quel micro mondo poco conosciuto.
Posti foto, articoli, fai video che provino a spiegare ciò che non si riesce a spiegare a parole, ogni tanto sbuca anche qualche risultato ed i tuoi contatti cliccano mi piace, fanno commenti.
Vai al lavoro e i colleghi ti sorridono, si complimentano, iniziano a fare domande. Difficile che vogliano imparare a giocare ma almeno ora sanno di cosa stai parlando. È già un passo avanti enorme.
Gli anni passano, si cambia. Si matura o si invecchia. Allora decidi di insistere e di fare diventare la tua passione, qualcosa di più e inizi a pensare in modo diverso.
Continui a giocare, ti alleni, cerchi di migliorarti per te stesso, ma soprattutto per la squadra, per il tuo club. Insisti a voler giocare e a fare pubblicità, a fare eventi promozionali, ma inizi a fare tutto questo ragionando un po’ più da “dirigente” e un po’ meno da giocatore.
Questione di mentalità. Giusto cambiare, giusto crescere, giusto cercare di guardare lontano. Guardare a chi, un giorno, dovrà sostituirci perché, prima o poi, si dovrà smettere e in testa girano due pensieri. Uno riguarda una frase detta dal grande Gianluca: se un giorno smetteremo di giocare, non succederà nulla. L’altro riguarda un’idea o meglio una speranza: quando smetteremo, speriamo che il nostro giochino non smetta con noi.
Perché sarebbe difficile un altro Ritorno…