Da uomo bionico, ovvero da dopo che l’operazione al cervello con l’impianto di controllo del movimento che è entrato in funzione, ho iniziato a cercare su internet se esistessero club subbuteistici nelle vicinanze.
Il club Stradivari di Cremona era il più vicino, e quello che offriva maggiori possibilità. Sul sito c’era scritto che si riuniva tutti i giovedì sera, e quando ho mandato un messaggio con Facebook per chiedere conferma, mi hanno risposto immediatamente.
Così una sera sono partito alla volta di Cremona, prendendo su un paio delle mie squadre e tanto entusiasmo.
Devo dire che, accoglienza a parte, l’esperienza fu disastrosa.
Giocavano con omini a base piatta, e il maitre de sal, quella sera non era particolarmente simpatico ed in vena di spiegarmi le cose.
Così mi sono ritrovato a giocare poco e a prenderle di santa ragione.
Me ne andai frustrato e incerto sul fatto che sarei tornato a giocare sui tavoli cremonesi. Ma poi la voglia di giocare e soprattutto, di confrontarmi con gente molto più brava di me, ebbe il sopravvento, e così tornai.
Accettai anche l’invito a partecipare ad un torneo, nel quale arrivai ultimo, conquistando però, sia un titolo del giornale locale nelle pagine dello sport, sia una intervista ad una televisione locale.
La mia distanza dall’ipotesi di giocare contro il campione del mondo, e fare bella figura, era decisamente remota.
Ad ogni buon conto, una sera mi invitarono a giocare in un bar di Castelvetro, lo stesso in cui si era disputato il torneo, e mi fecero giocare con un ragazzino dall’aria decisamente poco combattiva.
Lo giudicai battibile.
Quando iniziai la partita, notai che cli altri tavoli avevano smesso di giocare, tutti allungavano l’occhio per guardar giocare me e quel ragazzino.
Talvolta succedono magie strane, soprattutto nel gioco del subbuteo, capitano catene di eventi fortunati che sono inspiegabili, e che ti proiettano in una dimensione non vera, nella quale tutto è possibile, soprattutto nella quale tu sei il primo a sorprenderti di quello che stai facendo.
Pronti via, azione da manuale, battendo da centrocampo, due tocchi e sono al tiro, palla lunga, accostamento perfetto appena dentro l’area di tiro, suo errore nella mossa difensiva e tiro perfetto nel sette a scavalcare il portiere.
Lascio tutti a bocca aperta, ed io rafforzo la convinzione che quel ragazzino me lo sarei mangiato.
Il gioco riprende, conquisto palla nella mia tre quarti difensiva, lancio lungo con la palla che si infila tra gli omini avversari schierati in linea sulla sua tre quarti, e va a mettersi tra l’area di rigore e la linea del fallo laterale.
Vedo la palla con un mio omino sulla linea di centrocampo e defilato sulla destra, faccio un accostamento alla palla perfetto, ed ho il tiro, ma la posizione è impossibile, roba da sfidare le leggi della fisica.
Provo comunque e segno tra la meraviglia generale. Due a zero, il pubblico mormora, alcuni li vedo esterrefatti, a bocca aperta.
Io gongolo, non sono abituato a vincere in quel di Cremona, ma stavolta quel ragazzino me lo sto letteralmente divorando.
Ed è mentre mi convinco di vincere facile, lui si mette a giocare davvero: la palla non si fermava mai, colpiva sempre al volo, e lo faceva con una precisione da fare paura.
Inutili sono i miei tentavi di contrastarlo o di impostare il mio gioco, gli accostamenti perfetti e le palle filtranti tra selve di omini avversari, non mi riescono più.
Abbiamo smesso di contare i suoi goal dopo il dodicesimo, ed a quel punto mi hanno rivelato che il ragazzino era Matteo Brillantino, allora titolare in nazionale e campione del mondo a squadre.
E così, anche nel subbuteo, ho dovuto imparare la mia distanza dalle stelle.