Capitolo 2
Francesco e Antonio avevano ripreso a giocare con una certa continuità e, grazie alla rete, si erano ritrovati proiettati nel mondo del nuovo Subbuteo. Un mondo fatto di nuovi materiali, nuove regole e nuovi amici.
I primi momenti furono decisamente complicati. Una continua lettura del regolamento ed un continuo provare e riprovare le nuove tipologie di basi. Bicomposte, tricomposte, piene, vuote, coi pesetti, in plexi, in pvc. Un mare di possibilità. Un mare di scelte. Un mare pieno zeppo di false opportunità, di tentazioni. Di simpatici diavoletti che promettono basi che agganciano la palla alla perfezione o che inventano palombelle precise per scavalcare il portiere. Così i due amici, come bambini dentro una pasticceria, a far la conta dei soldi per capire se si può comprare un altro set di basi, l’ennesimo, che riesca finalmente a fare, per loro, la differenza.
Ma c’è dell’altro. Ci sono i tornei e i campionati a squadre. C’è la possibilità di emulare le gesta dei campioni sportivi più conosciuti. Quelli che giocano e vincono indossando i colori della propria città. Ma bisogna essere in quattro. Mentre loro sono in due. Bisogna trovare altri appassionati disposti a spendere tempo, soldi ed energie per quella che, per loro, sta diventando una vera e propria fissazione.
Allora via a fare progetti. Bisogna fare promozione. Serve una sede, una maglia coi colori sociali, i campi per giocare. Serve uno sponsor. Ma chi si prende la briga di regalare soldi a due pirlotti che vanno in giro a giocare a Subbuteo? Francesco è il più attivo dei due. Prova ogni strada, usa ogni conoscenza per riuscire ad ottenere almeno di essere ascoltato.
Almeno una volta al mese aggiorna Antonio sui contatti avviati e sulle promesse di ricevere soldi per sponsorizzare il loro club. Un club esistente solo e soltanto sulla carta ed ancora orfano di un nome. Ma l’entusiasmo non manca ed il tono delle telefonate tra i due, è quasi sempre lo stesso. “Antonio, stavolta ci siamo! Sono riuscito ad avere il numero dell’amministratore delegato. Ho parlato col mio vicino di casa che ci lavora e mi ha confermato che loro fanno girare un sacco di soldi e sponsorizzano di tutto. Vuoi che non diano qualcosa anche a noi? La settimana prossima dovremmo chiudere il cerchio!”. E Antonio, per l’ennesima volta, a tenere l’amico coi piedi per terra. “Fra’, stai sereno. Vediamo che succede!”, ma Francesco è un fiume in piena ed è sempre più difficile da arginare.
“Antonio dobbiamo muoverci. Organizziamo qualcosa, dobbiamo farci vedere e trovare altri giocatori. E dobbiamo stabilire come fare le maglie. Magari come quelle di Bologna. Poi ti ricordi le felpe che avevano quelli di Sanremo? E gli zaini?”. “Francesco rallenta! Intanto siamo ancora in due. Poi soldi non ne abbiamo e ancora non sappiamo se ce ne daranno!”.
Ormai questo scambio era ciclico e terminava sempre con i buoni propositi da parte di entrambi. Antonio di rallentare un pochino e Francesco di essere un po’ più ottimista. Sarà proprio quest’ultimo, sfruttando una buona dose di faccia tosta, ad ottenere uno spazio gratuito all’interno del Centro Commerciale La Favorita.
Tutto organizzato. Promozione al sabato e minitorneo alla domenica. Volantini stampati in bianco e nero e attaccati al venerdì pomeriggio, mille imprecazioni per riuscire a caricare i campi, tre e uno diverso dall’altro, sulla Fiat Tipo di Antonio e un sacco di aspettative.
La sera del sabato, davanti ad un trancio di pizza, i due amici tirano le somme della giornata. Una decina di curiosi che si sono fermati a provare. Tre “vecchi” giocatori convinti che il Subbuteo andasse giocato solo con le basi anni ’70. Un paio di squadre, per fortuna di quelle poco importanti, con diversi omini rotti. Circa 12 ore passate dentro al Centro Commerciale senza aver ottenuto quanto sperato. L’unico aspetto quasi positivo e degno di nota, aver conosciuto Alessandro. Più o meno loro coetaneo, buon appassionato e discreto giocatore.
Naturalmente si erano scambiati i numeri di telefono e lo avevano invitato al minitorneo del giorno dopo, e lui aveva accettato pieno di entusiasmo. Domenica mattina ore 9:30 apertura ufficiale delle iscrizioni per il primo Torneo “La Favorita”. Alle 10:15, un quarto d’ora dopo l’inizio previsto, gli iscritti erano cinque. Antonio, Francesco, un ragazzino di 12 anni scortato dalla madre e due ragazzotti sulla ventina che avevano accompagnato le fidanzate a fare shopping e non sapevano come impegnare l’attesa delle morose.
Alessandro era passato di premura per scusarsi di non poter giocare a causa di un impegno che aveva dimenticato, ma promettendo di farsi vivo presto. Insomma… un successone. Dopo un paio d’ore, finale del Torneo, manco a dirlo, tra Antonio e Francesco. La spunterà Antonio con un goal contestato da Francesco, più per la frustrazione di come era andato quel fine settimana che per un motivo reale. Ma si sa, l’agonismo, se non controllato adeguatamente, può fare danni incalcolabili e questa sembrava proprio una di quelle circostanze.
I due amici chiusero la giornata davanti ad una birretta, dopo aver caricato di nuovo i campi sulla Tipo di Antonio. Stavolta però in un silenzio quasi fastidioso per entrambi. A distanza di un paio di settimane nessuno dei due aveva chiamato l’altro.
Il giocattolo che avevano così faticosamente fatto ripartire, sembrava arenato irreparabilmente sullo scoglio di un goal forse irregolare o, più facilmente, sulla amara scoperta che la loro passione, forse, era davvero solo loro.
Nessuna delle aziende contattate da Francesco, si fece più sentire. Nessuno dei pochi che si erano fermati a chiedere informazioni durante la promozione fatta il sabato, si fece vivo. Il nulla.
Tutto l’impegno profuso in quei mesi stava ritornando dentro alle scatole da riportare in cantina. Quello con cui entrambi si trovarono a dover fare i conti era l’enorme difficoltà nel trasmettere la loro passione a chi questa passione non l’aveva mai avuta o in chi, come le nuove generazioni, era cresciuto con le varie console di gioco. Fu un periodo molto complicato per loro e fu, probabilmente, il primo germoglio di una pianta spinosa che sarebbe cresciuta di lì a pochi anni.
In uno dei soliti pomeriggi un po’ appassiti, Antonio ricevette una telefonata. “Antonio, sono Alessandro! Ho grandi notizie! Ho parlato con Don Ulrico! Ci offre il saloncino per mettere giù i campi e giocare! Ci aspetta per darci le chiavi e farci vedere dove si accendono le luci! Te quando sei libero?” Antonio, che si stava ancora chiedendo chi fosse questo Alessandro, non rispose subito. “Antonio? Ci sei? Pronto… pronto…”, “Si, si, ci sono. Ma non ho capito… Alessandro chi? E che dobbiamo fare da Don Ulrico?”, “Sono io! Alessandro… quello del Centro Commerciale… ti ricordi? Ti avevo detto che conoscevo il prete di San Luigi! Ti ricordi? Ci aspetta per darci le chiavi del saloncino. Ci lascia mettere i campi per giocare!”.
Antonio iniziò a ricordare e a capire che questo Alessandro non avrebbe mollato la presa tanto facilmente. “Ma… guarda… non saprei… anche domani se ti va bene.”, “Perfetto! Ti aspetto domani pomeriggio per le quattro! Ah… ti avviso… non sarò da solo!”. Antonio restò col telefono in mano qualche secondo. Giusto in tempo per mettere a fuoco che, per prima cosa, Alessandro non sembrava del tutto registrato. Secondariamente si stava ritrovando, suo malgrado, di nuovo proiettato nel mondo degli omini basculanti. Infine, che questa cosa non voleva e non poteva affrontarla da solo.
“Pronto? Ciao Fra, come stai? Ho qualcosa da dirti…”
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